martedì 13 ottobre 2020

THE LAST OF US PART II, PS4


SANGUE E SPORE


Titoli di coda per The Last Of Us 2, come al solito, il canto del cigno di questa generazione di console come già lo era stato il primo capitolo per quella passata. Un gioco perfetto? Scopriamolo in questa breve recensione!

La cosa che più mi ha colpito di questo gioco e che gli ha fatto raggiungere il terzo gradino del podio per quanto riguarda i miei titoli preferiti dell’attuale generazione (a pari merito con God Of War), è la sceneggiatura. In un mondo messo sottosopra da un’infezione in grado di trasformare gli esseri umani in zombie, un uomo (Joel) decide di salvare una ragazzina (Ellie) da una sperimentazione per la realizzazione di un vaccino che si stava testando sul suo corpo, incredibilmente resistente al contagio ma che probabilmente ne avrebbe decretato il decesso. Tutta la trama si svolge sulla difficile scelta della protagonista Ellie tra il perdono nei confronti dell’anziano amico Joel (“mi hai salvato ma avrei dovuto morire per salvare l’umanità!”) e la vendetta nei confronti dell’assassina dello stesso, di nome Abby (che poi sarebbe la figlia del medico che stava compiendo l’esperimento sul corpo di Ellie e che è stato ucciso da Joel). Particolarmente cruenta la scena dell’uccisione di Joel ad opera di Abby anche perché avviene nelle prime fasi di gioco, inaspettatamente e a discapito del protagonista del primo capitolo! Insomma, una scena abbastanza destabilizzante.
 
Già da queste premesse si intuisce come la cattiveria umana sia superiore a quella degli infetti che se non altro, senza alcun raziocinio o secondi fini, si comportano sempre nella stessa maniera... A tale riguardo muovo un appunto alla famigerata I.A. di questo titolo, in realtà meno brillante di quella del primo, a sua volta seconda sola a quella di Killzone 3, irraggiungibile! Insomma come ho già anticipato, saranno più cruente le scene che vedranno coinvolti gli umani (ci ritroveremo nel bel mezzo di una vera e propria guerriglia urbana tra due fazioni avverse, i Lupi e i Serafiti o Iene, per il controllo della città di Seattle) rispetto a quelle che coinvolgeranno gli infetti, i quali sono rappresentati dai soliti Clicker, dai Runner e dai nuovi arrivati Stalker e Shambler, questi ultimi dei veri e propri miniboss! Il senso di ribrezzo che emanano queste oscenità, soprattutto quando si viene afferrati, è indescrivibile. Si viene quindi trasportati in un mondo angosciante, claustrofobico, spaventoso, buio dove la forza bruta e il cinismo saranno protagonisti. E’ un gioco “crudo” nel vero senso del termine e le amputazioni si sprecheranno, non scherzo. Vi dico solo che il paragone che mi è venuto spesso in mente è stato con il film “Gangs Of New York” di Martin Scorsese! Gli unici sprazzi di sentimentalismo sono quelli tra Joel e Ellie (sempre vivo il ricordo del “padre adottivo” nel cuore della protagonista), tra Abby e Tommy (un affiliato dei Lupi che è innamorato di Abbie, la co-protagonista) e tra Ellie e Dina (che incarnano una delle poche relazioni omosessuali della storia dei videogiochi!). Ma a parte questi momenti di romanticismo, a farla da padrone saranno gli scontri contro Lupi e Serafiti (Ellie sarà dotata di un vasto arsenale di armi) e i combattimenti molto più “stealth” contro gli infetti. Non sarà insomma l’amore il leitmotive del gioco ma il sentimento di vendetta, una vendetta bagnata dal sangue. E sarà il perdono, la luce che aprirà uno squarcio nelle tenebre, a riportare alla fine un po’ di umanità in questo mondo mostruoso e degenerato. Amerete la protagonista Ellie, la odierete (per la prima volta in un gioco ho desiderato, a tratti, il decesso del protagonista che in una scena del gioco sembrerà una vera e propria strega!) e la adorerete ancora alla fine. Lo stesso dicasi per Abby anche se il suo percorso emotivo sarà molto più lineare. 
 
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico siamo ovviamente al top di categoria con livelli di dettaglio incredibili. La longevità è sicuramente uno degli aspetti migliori del gioco. Per concludere l’intera avventura raccogliendo il 38% dei trofei ho impiegato ben 35 ore e stiamo parlando di un gioco denso di contenuti, senza diluizione di trama o necessità di backtracking, per cui tanta roba assolutamente! A mio giudizio si ha tuttavia ancora una volta la sensazione di trovarsi all’interno di un percorso obbligato, nonostante la vastità e la ramificazione degli ambienti di gioco sia in senso orizzontale che verticale. Insomma, a me dispiace dirlo, ma continuo a vedere nei giochi Naughty Dogs la continua riproduzione di un Crash Bandicoot iperpompato! 
 
 
Voto 9.25
Il nostromo

domenica 12 luglio 2020

FIST OF THE NORTH STAR - LOST PARADISE, PS4




MALEDETTO LOCKDOWN...


Titoli di coda per Fist Of The North Star Lost Paradise, il gioco dedicato a Ken il Guerriero per l'attuale generazione di console. Ci tengo innanzitutto a precisare che il titolo SEGA è esclusiva PS4 e che è già un po' datato, essendo uscito nei negozi in ottobre 2018. Tuttavia, l'assenza di titoli interessanti per il sottoscritto nel periodo immediatamente antecedente l'uscita di The Last Of Us 2, mi ha fatto rispolverare questo gioco. Gli autori del titolo sono gli stessi della saga Yakuza (serie che in realtà non ho mai provato) ma avendo completato il precedente capitolo di Kenshiro su PS3 ci tenevo a testare anche questa versione. Il titolo per PS3 era un "musou" cioè un gioco con percorsi ben definiti in cui si affrontavano decine e decine di avversari in sequenza fino ad arrivare allo scontro con il boss di turno e via a ricominciare daccapo fino allo scontro con il boss finale (in quel caso Raoul e vi assicuro che è stata una tra le boss battles più difficili che abbia mai ingaggiato!). In Lost Paradise invece ci troviamo di fronte a un open world in cui potremo (con tutti i limiti del caso) viaggiare dove vogliamo (in realtà il mondo di gioco non è poi così grande: la città, il deserto da girovagare con una dune buggy customizzabile, con qualche avamposto "amico" e la fortezza di Cassandra in cui troveremo il fratello maggiore Toki pronto ad insegnarci nuove tecniche.

Tralasciando l'aspetto squisitamente tecnico del gioco che non fa gridare certo al miracolo (gli sfondi sembrano provenire direttamente dalla PS3, gli avversari sono riconducibili a una manciata di archetipi che si ripetono all'infinito, la lingua è localizzata solo in inglese e giapponese - e ovviamente ho scelto la seconda, l'effettistica audio in generale è di basso livello eccezion fatta per le voci dei protagonisti principali) nel complesso il gioco mi ha divertito forse perché il sottoscritto ha un gusto videoludico un po' retrò nonché arcade e questo gioco è certamente tutto questo. Proprio per questa mia inclinazione ho voluto raccogliere in giro per il deserto i cabinati di alcuni storici giochi SEGA quali Out Run, Super Hang On e Space Harrier che vanno consegnati al titolare di una sala giochi in Eden (la città fortezza dentro la quale si svolge la maggior parte del gioco e nella quale è nascosta Julia che dovremo salvare) che è stato in grado di ripararli e di farli funzionare in modo da poterci giocare (trofeo Gamer Archeology)! Stesso discorso per la versione home di Fist Of The North Star per Sega Master System che il protagonista potrà utilizzare nella propria "dimora" su un TV a tubo catodico, fantastico!!

 

Ma allora, considerando che i capitoli sono in tutto solo 10 e se vai dritto per dritto in una manciata di ore arrivi ai titoli di coda, come ho trascorso 40 e passa ore con questo titolo? La risposta è presto detta! Il gioco è pieno zeppo di "substories" (80 per la precisione) che scorrono via lisce come bocconcini! Inoltre ci si può cimentare in svariati minigames che allungano certamente il "brodo" del gioco. Parliamo di attività che poco hanno a che fare con l'originale Saga di Kenshiro ma che tuttavia, non essendo fan accanito dell'anime, ho trovato tutto sommato divertenti. All'interno della città di Eden il nostro protagonista potrà così rendersi utile in svariate attività che gli faranno guadagnare crediti e soldi come fare il barman (ebbene sì le tecniche della scuola di Hokuto torneranno utili anche per la preparazione di deliziosi cocktails!), gestire un night club (in questa circostanza ci troveremo a dover intrattenere con delle ragazze i clienti del locale notturno...), curare i malati nella clinica di Toki (mediante una sorta di rythm-game in cui dovremo premere i pulsanti a tempo per toccare i punti vitali dei cittadini malati e nel contempo eliminare gli avversari), aiutare Lynn (la bambina amica di Ken con sicuri problemi di autismo...) a vendere i prodotti più svariati in città, partecipare con Bart (il ragazzino amico di Ken, provetto meccanico) a numerose gare nel deserto con la dune buggy, competere nell'Arena della città con i più ostili avversari in scontri di gruppo o singoli, giocare banalmente al Casino (mai entrato una volta...) e lavorare come "cacciatore di taglie" (devo dire l'attività più redditizia del gioco!). Vi è un'altra attività secondaria effettuabile nel deserto che consiste in una sorta di "baseball" in cui devi prendere a sprangate gli avversari che ti vengono incontro in moto (il punteggio sale a seconda della distanza percorsa dello sventurato motociclista respinto dalla nostra mazza...) ma non son più riuscito a trovare la location sulla mappa per cui l'ho solo testato una volta... Insomma, di cose da fare ce ne sono a bizzeffe prima di arrivare ai titoli di coda!

 

La parte più divertente del gioco resta comunque quella relativa ai combattimenti. Sentire Kenshiro pronunciare in giapponese "Omae Wa Moo Shindeiru!" ("Tu sei già morto!") prima che la testa dell'avversario esploda in mille pezzi non ha prezzo! Nel gioco ritroveremo infatti le stesse tecniche dell'Hokuto Shinken che abbiamo ammirato nell'anime. Mano a mano che potenzieremo le abilità di Kenshiro tramite l'acquisizione di sfere di diversi colori in grado di incrementare forza, resistenza, potenza degli attacchi basali e del "burst mode" (attivabile premendo R2 quando, dopo un certo numero di colpi messi a segno, si illumina completamente l'indicatore delle 7 stelle di Hokuto. Vi ricordate l'aura rossa infuocata attorno al corpo di Kenshiro, con la maglietta che finisce in brandelli?) la sfida diventerà sempre più divertente e appagante, vi assicuro. Stesso discorso per le tecniche acquisite dal fratello Toki, sicuramente tra le più letali. Inoltre ogni volta che sconfiggeremo un boss o incontreremo un personaggio della trama principale, acquisiremo un "talismano" attivabile tramite pressione della croce direzionale (se ne possono pertanto equipaggiare al massimo 4 per volta) che doneranno particolari abilità temporanee al protagonista (a tal riguardo vi suggerisco di equipaggiare quelli di Toki, Julia, Lynn e Shin, a mio avviso i migliori). Combinazioni di tasti differenti determineranno modi di attacco differenti fino ad arrivare ad alcune fasi del combattimento con i boss che richiedono l'espediente del Quick Time Event alla lunga un po’ stucchevole…

 

In conclusione, un gioco assolutamente grezzo (nel senso buono del termine) dal quale non ci si deve aspettare più di tanto. Sarà stato il lockdown, sarà stata l'assenza di offerta videoludica di livello (siamo pur sempre alla fine di una generazione!) ma tutto sommato non mi è dispiaciuto.


 

Voto 7.5

 

Il nostromo

giovedì 23 aprile 2020

DARKSIDERS GENESIS, PS4



BENTORNATI, CAVALIERI!


Titoli di coda per il nuovo lavoro degli Airship Syndicate, ex Gunfire Games, ex Vigil Games (a testimonianza della travagliata storia di questi talentuosi programmatori della THQ), autori di tutti gli altri capitoli della serie che il sottoscritto ha particolarmente amato fin dalla prima uscita su PS3 (ormai datata 2010) per le meccaniche di gioco da hack’n slash in stile God Of War ma molto più infarcito di puzzle ambientali e con ampie possibilità di backtraking metroidvania-style. Insomma, seppure non originalissimo, il mix di gameplay e game-design della serie mi ha sempre divertito. E poi c’era il tocco di classe del fumettista Joe Madureira a impreziosire coi suoi tratti e i suoi colori l’universo dei Cavalieri dell’Apocalisse. Dopo il fallimento della THQ, riconvertitasi a THQ Nordic e l’uscita del controverso terzo capitolo (operazione chiaramente low cost e peraltro senza l’ausilio in regia di Madureira) ecco arrivare sugli scaffali uno spin-off della serie venduto a prezzo budget (39€) e con gameplay a prospettiva isometrica (in stile Diablo, per intenderci).

In quest’ultimo capitolo che in fin dei conti si rivelerà essere un prequel del primo Darksiders (che resta a mio avviso inarrivabile), ricompaiono Guerra (era ora!) e Madureira in direzione artistica mentre viene presentato il nuovo personaggio della serie, Conflitto, una sorta di pistolero simpaticone e un po' testa calda. Se in un primo momento la nuova visuale poteva far pensare a una deriva alla Diablo del titolo, strada facendo ci si accorge che questo è molto più “Darksiders” del secondo e terzo capitolo della serie. Ritroviamo cioè quel sapore “metroidvania” che, pur presente, ho trovato piuttosto annacquato negli ultimi due lavori. La ridotta dimensione dei personaggi e dell’ambiente di gioco per la nuova visuale adottata ha inoltre esaltato l’aspetto grafico generale dando indubbiamente risalto all’ottimo lavoro del redivivo Joe!

Purtroppo non aspettatevi una longevità eccelsa. I capitoli, tutti rigiocabili settando il livello di difficoltà a proprio piacimento (io suggerirei la modalità difficile perché la normale è davvero una passeggiata...), sono in totale 17 ma di questi 6 sono in pratica scontri con i boss per cui le zone esplorabili sono solo 11. Se vai dritto per dritto credo che in una quindicina d’ore al massimo si possa arrivare alla conclusione. Tuttavia la ricerca dei collezionabili è risultata come al solito divertentissima e il sottoscritto si è prodigato a percorrere il mondo di gioco in lungo e in largo per ottenerli tutti, allungando non poco il tempo totale di gioco. Inoltre vi segnalo la possibilità di giocare in coop locale o online per aggiungere un ulteriore pizzico di rigiocabilità al tutto!

Menzione d’onore infine per la fantastica colonna sonora a cura del trentacinquenne britannico Gareth Coker che sicuramente ha davanti a sé una fulgida carriera, viste le premesse! Lo ammetto, ho acquistato online l’OST disponibile purtroppo solo in formato CD.

In conclusione ci troviamo di fronte a un’ottima ripartenza per la serie a dispetto degli evidenti limiti di budget. Ancora una volta Vigil Games (ebbene sì sono un nostalgico...) non delude!

Voto 8.25

Il nostromo

mercoledì 12 febbraio 2020

STAR WARS JEDI FALLEN ORDER, PS4



"CALMA PIATTA"...



Titoli di coda per Star Wars Jedi Fallen Order, ultimo prodotto di Respawn, quelli di Titanfall, che hanno abbandonato l’esclusività per Microsoft e si sono aperti al multipiattaforma. In realtà ho terminato il gioco già da un mese ma l’assoluta insipienza dello stesso mi ha fatto desistere dallo scrivere subito una recensione.

Il motivo principale è la totale mancanza di caratterizzazione dei personaggi principali, assolutamente impalpabili dal punto di vista della personalità. L’unico personaggio paradossalmente dotato di una forte caratterizzazione è un robot: mi sto riferendo al fidato droide BD-1 che ci accompagnerà per l’intera avventura, davvero ben realizzato e con movenze sorprendentemente riuscite!
Il gioco scorre senza alcun sussulto per tutta la durata dell’avventura tranne la sequenza che anticipa il finale in cui compare Darth Vader (ma va?!) ma è troppo poco per dare una sufficienza alla sceneggiatura che risulta essere davvero piatta. Il gameplay è un mix di esperienze ludiche già viste, soprattutto il primo Darksiders e Prince of Persia ma mi fermerei qui. C’è chi ha intravisto collegamenti con God Of War e Dark Souls ma non scherziamo dai... Numerosi gli elementi di backtracking ma purtroppo la voglia di riaffrontare le location già viste svanisce presto. La difficoltà è moderatamente elevata già a livello “cavaliere jedi” (che sarebbe l’equivalente di difficoltà “normale”) ma è possibile modificarne il livello in qualsiasi momento, per cui non preoccupatevi. In effetti, essendo il gioco poco divertente, l’elevata difficoltà lo rende a tratti assai frustrante. Dal punto di vista grafico ho apprezzato molto il design delle fortezze, delle astronavi e nel complesso di tutto ciò che è “metallico” mentre le location “naturali” (compresi i protagonisti) soffrono di una pochezza poligonale da far rabbrividire... La colonna sonora scimmiotta quella originale di Star Wars per cui è, ovviamente, piuttosto evocativa.

Siamo quasi alla fine dell’attuale generazione videoludica e questo prodotto sembra essere stato sviluppato agli inizi della stessa, purtroppo. Mi dispiace ma credo che Star Wars, al di là del fascino che riesce sempre a trasmettere per cui le vendite saranno sempre soddisfacenti, è di difficile se non impossibile conversione videoludica e lo dice uno che ha sperimentato le prime conversioni arcade (Star Wars The Arcade Game in sala giochi, con grafica vettoriale) e su home console (The Empire Strikes Back oppure Death Star Battle, edite da Parker Brothers per Atari 2600!). Per quale motivo, nonostante l’avvento di Playstation VR, a oggi non è ancora stata realizzata una versione in realtà virtuale del combattimento con la spada laser?? Questo resta il mio sogno che spero si realizzi su PS5!

Voto 7

Il nostromo

domenica 17 novembre 2019

CONTROL, PS4




TRIP DISTOPICO



“Distopia” è l’esatto opposto della parola “utopia”, intesa come il luogo dove tutto è come dovrebbe essere. Distopia è invece un luogo del tutto spiacevole e indesiderabile. 

Parto da questa definizione perché il gioco che più mi ha ricordato Control è quel diamante grezzo che risponde al nome di Bioshock, storia di un incredibile viaggio in una città utopica situata nelle profondità degli abissi, nominata Rapture. Questa metropoli rappresentava appunto un’utopia ma non tanto perché si trovava a migliaia di chilometri sotto il livello del mare, in pieno oceano Atlantico, ma bensì per la filosofia su cui era stata concepita, che inneggiava alla libertà di espressione in qualsiasi ambito sia umano che scientifico. E’ vero tuttavia che il confine tra utopia e distopia spesso è labile e frequentemente rappresentano le due facce di una stessa medaglia. Il fatto è che in Bioshock è l’utopia a divenire distopia mentre in Control nasci e muori distopico!

Insomma il concept del gioco è quantomeno originale e bizzarro e sceneggiature di questo genere corrispondono solitamente a autori di un certo livello. E in effetti in questo caso stiamo parlando di Sam Lake di Remedy, autore di Alan Wake e Quantum Break per Xbox. Remedy sono inoltre gli stessi di Max Payne e scusate se è poco... Parliamo cioè di un gioco “griffato” come Ken Levine aveva firmato Bioshock.

Un inciso: ringrazio mio fratello Mauro per avermi segnalato questo titolo di cui praticamente non avevo sentito parlare forse perché non pubblicizzato a dovere dal produttore, la “505 games”.

Il gioco è quanto di più claustrofobico (è interamente ambientato all’interno di un unico edificio, la Holdest House che vanta collegamenti con piani paranormali e non vedrete MAI la luce del sole), deviante (avrete a che fare con ex colleghi di ufficio manipolati e trasformati dall’Hiss, l’entità nemica), onirico (a tal riguardo cito le scene di intermezzo al “Motel Oceanview”!), assurdo (in un paio di missioni secondarie vi troverete ad affrontare nientemeno che un “frigorifero” e un “semaforo”!) e tetro (i rumori dei macchinari che pervadono il gioco fanno accapponare la pelle). E’ un titolo che non fa nulla per mettere psicologicamente il giocatore a proprio agio trasportandolo in una realtà parallela in cui il confine tra reale e paranormale è estremamente labile. Sam Lake ha dato veramente il meglio di sé per scrivere la sceneggiatura di quest’opera ludica che ahimè non spicca definitivamente il volo solo per motivi di budget. La realizzazione tecnica non è niente male (basti solo pensare che grazie ai poteri che pian piano acquisirà la protagonista, Jesse Faden, potrete far levitare e distruggere pressoché ogni elemento presente nel gioco) ma il livello di dettaglio generale non è al top considerando che siamo ormai alla fine di questa generazione di console, per cui ci si poteva aspettare sicuramente qualcosa di più. Non aspettatevi boss battles maestose. I boss veri e propri in realtà sono 4 e fruttano ciascuno un trofeo. Solitamente la sfida giunge al termine di una missione secondaria normalmente più lunga delle altre. Si tratta solitamente di personaggi umani modificati con poteri superiori a quelli dei normali nemici (Essej e mr. Tommasi) o di entità più o meno mostruose (Muffa-1 e l’Ancora) ma mai di dimensioni esorbitanti sullo schermo.

Detto questo il gioco ha un’anima assolutamente action (è uno shooter in terza persona) e vi divertirete un mondo a eliminare qualsiasi ostacolo vi si porrà davanti per impedirvi di perseguire il vostro obiettivo: ritrovare vostro fratello rapito dalla Federal Bureau of Control per essere analizzato (sia lui che la sorella avevano in effetti acquisito dei poteri soprannaturali quando erano bambini, dopo essere entrati in contatto con Polaris, una forza paranormale). L’azione di gioco è a tratti davvero furiosa con decine di oggetti volanti sullo schermo con tanto di razzi sparati dai soldati “modificati” che una volta acquisito un certo potere potrete rispedire al mittente in maniera estremamente spettacolare! Piacevole l’impennata di difficoltà nella parte finale per cui sarete obbligati a miscelare sapientemente le “mod” recuperate sul terreno di gioco per potenziare l’arma di ordinanza e i poteri soprannaturali. Non particolarmente longevo, mi ha comunque intrigato al punto di platinarlo. Al di là della realizzazione tecnica, buona ma non ottima, soprattutto per i cali di frame rate nelle sequenze più concitate (nulla che comunque vada a inficiare una valida esperienza di gioco) un altro appunto che vorrei muovere è l’eccessiva quantità di collezionabili da raccogliere (documenti cartacei, filmati, registrazioni audio, etc) atti a svelare i segreti della Holdest House che, se da un lato denota l’impegno assoluto dell’autore nel voler approfondire la trama, dall’altro porta presto a noia tant’è che a partire da un terzo del gioco in poi ho desistito dalla loro lettura…

Per chiudere cito un trofeo che si ottiene al completamento di una missione secondaria in cui il protagonista è niente meno che uno “specchio” e che a mio giudizio rappresenta la quintessenza di Control: “Altered Manifestations May Occur”!

Voto 8.5
Il nostromo



mercoledì 2 ottobre 2019

SHADOW OF THE TOMB RAIDER, PS4


CHE BARBA... CHE NOIA...


Titoli di coda per Shadow Of The Tomb Raider, ultimo e, a quanto pare, conclusivo episodio della nuova trilogia di giochi dedicata all’avventuriera più famosa della storia dei videogiochi. 

Se nel primo episodio della serie, la giovane età della eroina con tutti i suoi gemiti e vagiti rendeva il gioco a dir poco irritante, se nel secondo episodio la componente action era troppo preponderante a discapito della componente esplorativa, in quest’ultimo episodio avviene esattamente l’opposto. Troppo spazio è stato dato a mio giudizio alla componente esplorativa (vi saranno almeno un centinaio di puzzle ambientali da risolvere) a discapito della componente action. La delusione più grande la si prova nel finale laddove mi aspettavo un tripudio di combattimenti ma al di là di numerose sequenze scriptate di sicuro effetto, il tempo dedicato effettivamente alla battaglia è esiguo e gli avversari affrontati si contano sulla punta delle dita... Lasciamo perdere anche lo scontro col “boss” finale, assolutamente poco stimolante.

Per carità, nulla da eccepire sulla direzione tecnica, trattandosi di gioco con un comparto audio e video di primissimo livello. Ma la storia in sè non entusiasma più di tanto. La parte più divertente è stata quando, a un certo punto, nella foresta amazzonica ti trovi a fronteggiare numerosi avversari in maniera stealth mimetizzandoti con la natura e utilizzando attacchi dall’alto degli alberi: davvero divertente e appagante! Purtroppo, per il resto dell’avventura il tutto scorre su un piattume generale senza picchi di interesse. Le stesse “tombe della sfida” non sono riuscite a evocarmi particolari sensazioni e ribadisco che le “tombe degli assassini” di Assassin’s Creed 2 restano irraggiungibili per il fascino che mi hanno saputo trasmettere!

Insomma, gioco spolpato più per inerzia (3 soli trofei al platino di quelli in game – uno legato ai collezionabili e due alle modalità “kill” + il trofeo legato al completamento del gioco alla modalità più difficile che sostanzialmente richiederebbe di rigiocare l’avventura dall’inizio, cosa che rifiuto di default) che per reale interesse.

Arrivederci Lara o, forse meglio, addio.

Voto 7.75
Il nostromo

domenica 1 settembre 2019

RED DEAD REDEMPTION 2, PS4


LA PERFEZIONE ESISTE!


Difficile recensire un gioco come Red Dead Redemption 2 perché si rischia di essere ripetitivi e di dire cose che sono già state scritte, soprattutto se inizi a buttar giù uno schizzo a quasi un anno dall’uscita del gioco ma, come ho già scritto altrove, ci tenevo tanto ed eccomi qui!  A questo gioco rimarrò affezionato in eterno in quanto ho iniziato a giocarlo più o meno in corrispondenza con la diagnosi fatta a mia madre di un brutto male al fegato e l’ho terminato dopo 6 mesi, praticamente in corrispondenza del suo decesso. Anche per questo motivo potrete capire il perché della riluttanza a descrivere subito le mie sensazioni sul gioco. Diciamo che mi ha aiutato a distrarmi un poco in quei mesi di vera angoscia.

Iniziamo subito col dire che se il primo capitolo venne definito da DOC Manhattan come il “primo simulatore di Clint Eastwood” qui si può tranquillamente parlare di “simulatore del West”. In realtà è ancora di più: è una simulazione di vita in tutto e per tutto. La vita ma soprattutto la morte saranno infatti le protagoniste del gioco e mai come in altri giochi vi sentirete parte di un mondo assolutamente realistico con il quale interagire praticamente al 100%. Più che un gioco è un’esperienza di vita, non scherzo. È incredibile la mole di sentimenti che questo gioco farà scaturire nella vostra anima: odio, amore, rabbia, perdono, vendetta, fedeltà, infedeltà, amicizia, gioia, sconforto sono solo alcuni che mi vengono in mente così, di primo acchito. La quantità e qualità di missioni secondarie, di personaggi non giocanti (NPG) con cui interagire, di varietà animali da cacciare o da cui difendersi, di piante da raccogliere rendono il gioco così realistico che a un certo punto crederete di essere davvero Arthur Morgan, il protagonista. A proposito, non l’avrei mai detto, ma Arthur vince a mani basse il confronto con John Marston, l’indimenticabile protagonista del primo episodio. Il motivo è presto spiegato: mentre, per vicende che capirete nel corso del secondo episodio (che in realtà è un prequel), John Marston si troverà a condurre nel primo episodio una vita tendenzialmente isolata nella fattoria, a contatto con moglie e figlio per aiutare il prossimo e integrarsi nella nuova America ripulita dai cow-boys (da cui il titolo “Redemption”), il protagonista di questo secondo capitolo, Arthur Morgan tesserà rapporti con tutti i membri della banda di appartenenza (capeggiata dal bivalente Duch Van der Linde) ma tali rapporti, nel corso della trama, saranno estremamente mutevoli proprio per dinamiche intrinseche alla banda e a causa dei diversi tratti caratteriali dei vari componenti della stessa, tratti assolutamente credibili e perfettamente definiti come in un’esperienza “real life”. Insomma, questo gioco è di una profondità inimmaginabile e davvero un plauso va fatto ai fratelli Sam e Dan Houser di Rockstar Games per la qualità di “scrittura”. Credo che l’insieme dei dialoghi del gioco possano valere una sceneggiatura cinematografica ed essere usati direttamente come copione per gli attori e anche qui non scherzo! Chiaramente proprio per questo aspetto di realismo estremo inizialmente dovrete portare un po’ di pazienza: i dialoghi potrebbero risultare alquanto prolissi (io in realtà non ne ho mai saltato uno!), i personaggi si potrebbero muovere con una lentezza esasperante. Inoltre per spostarsi da un punto a un altro della mappa si dovrà usare prevalentemente il cavallo (che a sua volta va strigliato e nutrito a dovere) e non c’è santo che tenga: il percorso devi farlo tutto e se per caso durante il tragitto dovessi perdere il cavallo o malcapitatamente dovesse lasciarci le cuoia, resti a piedi! Pensate che io ho praticamente acquistato un cavallo nelle fasi iniziali di gioco che ho battezzato “Girl” (Arthur in effetti si rivolge al proprio cavallo chiamandolo “girl” o “boy” a seconda che sia femmina o maschio. Chiamando la mia cavalla “Girl” è stato come se ogni volta si rivolgesse a lei chiamandola per nome, fantastico!) e che ho mantenuto in vita fino alla fine del gioco. Vi assicuro che il livello di interazione con il cavallo è assolutamente sovrapponibile a quello che il protagonista innominato di Shadow of The Colossus instaura con il fido Arno! E anche in questo caso piangerete, ah se piangerete... Sappiate che a un certo punto comunque si sbloccheranno i viaggi rapidi (solo per l’andata eh, cioè dal campo base alla meta ma il ritorno sarà affar vostro!) per cui metà del problema “spostamenti interminabili” sarà risolto! Vi assicuro comunque che nonostante ciò, spesso ho preferito percorrere sia all’andata che al ritorno il tragitto senza scorciatoie perché sono così tante le cose che possono accadere durante il viaggio che è sempre stato molto più divertente viaggiar così che col “teletrasporto”. Parlando di spostamenti va da sé fare un rapido cenno alla mappa, di proporzioni davvero spropositate nonché capace di contenere al proprio interno un’intera città brulicante di attività come Saint Denis (con tanto di tram utilizzabili)! Tenete presente che, a un certo punto della narrazione, sempre per vicende legate al gioco e come da “liaison” tra i due capitoli, si sbloccherà la mappa del primo Red Dead Redemption che è pertanto contenuta nella nuova e occupa, così a vista d’occhio, solo il 20-25% della mappa attuale!! E non vi dico la gioia quando ripercorrerete le strade già battute nel primo capitolo ricordando magari a memoria il percorso che va da Armadillo a Tumbleweed nel New Austin! Quelle sensazioni di percorrere “territori digitali” già solcati in passato è davvero affascinante e conferisce un ulteriore aspetto di realismo al gioco. Mi ha ricordato quando in Shadow of The Colossus scoprii la mitica spiaggia bianca del finale del gioco di ICO. In epoca pre-screenshot avevo immortalato l’evento con una romantica fotografia scattata allo schermo del televisore a tubo catodico! Ecco dove il gioco è riuscito a superare il confine ludico, facendoti sperimentare la funzione psichica della “memoria”, ricordando ad esempio percorsi/personaggi del primo capitolo oppure durante lo svolgimento della nuova trama del gioco. Infatti la banda, sempre per motivi legati alla trama (sto cercando di evitare ogni possibile spoiler…), sarà obbligata a spostarsi da un punto a un altro della mappa di gioco e a costruirsi nuovi campi base dove vivere. Quando vi troverete a ripercorrere quei luoghi già vissuti nel vero senso del termine (quando vi accampate dovrete procurare cibo per la cucina, pelli per migliorare le tende, svolgere una serie di mansioni per i vari compagni di viaggio, etc), magari dopo svariate ore di gioco, la memoria degli eventi vissuti in precedenza (NB non parliamo di flashback scriptati ma di eventi da voi giocati in prima persona) vi terrà ancorati al mondo di gioco e vi farà sussultare! Questo è un elemento di assoluto realismo. Pensate alla protagonista femminile di Blade Runner, Rachael, una replicante alla ricerca della propria vera identità (umana o androide?). Al di là delle perfette sembianze umane cosa la distingueva dagli altri replicanti? La memoria di eventi passati in realtà mai vissuti ma scritti nel suo codice dal proprio creatore, il dott. Tyrell. Credo che questo sia un punto di assoluto valore del gioco in questione e che può essere solo scaturito dall’amore dei programmatori (in questo caso i fratelli Houser di Rockstar) verso il prodotto che hanno concepito. 

Per tornare alla lentezza esasperante del gioco (che credo sia, a questo punto, il vero punto debole e, nello stesso tempo, di forza del gioco nel senso che potrebbe dissuadere taluni dall’affrontare questa mastodontica opera ludica) sappiate che i dialoghi sono lunghi, numerosi e sfaccettati ma assolutamente mai noiosi. Del resto per scavare così a fondo nella personalità dei protagonisti, qualcosa dovranno pur dirsela! Per questo aspetto siamo veramente all’antitesi con il secondo capolavoro a mio giudizio di questa generazione, Bloodborne con i suoi silenzi e i suoi incubi materializzati in perfetto stile Lovercraft. Ma se ci pensate bene, il meccanismo della memoria (o forse meglio della “riscoperta”) anche qui è reso sotto mentite spoglie. Nell’opera di Miyazaki, come già descritto in recensione, quando vi ritrovate alla fine di un percorso di difficoltà inaudita a ripercorrere una strada battuta in precedenza grazie allo sblocco di un passaggio che magari avevi a vista d’occhio all’inizio del percorso ma risultava inaccessibile, non è forse lo stesso meccanismo di generazione di “ricordi”?

Sul fatto che il gioco sia emotivamente coinvolgente credo di esser stato abbastanza chiaro. Passo adesso a una veloce disamina dell’aspetto tecnico dello stesso perché, diciamocelo pure, tutte le esperienze emotive di un gioco non sarebbero nulla se non fossero supportate da una degna direzione tecnica. E qui veramente ci troviamo a livelli di dettaglio grafico/sonoro incredibili per un open world su console. Il motore RAGE di proprietà di Rockstar Games è stato spremuto fino al midollo per regalare un’esperienza audio-visiva senza precedenti per il tipo di gioco in questione e per la mole di dati da elaborare (per inciso vi segnalo che il gioco è così “pesante” che necessita di due dischi blu-ray, di cui uno solo per l’installazione!). Personalmente non ricordo di aver sperimentato durante il gioco particolari eventi di pop-up, glitches e nemmeno cali di frame rate, pur nelle sequenze più concitate. La palette cromatica è straordinaria anche perché la mappa è talmente vasta da comprendere le zone più disparate: da montagne innevate o ricoperte da selve a lande desertiche, da ambienti fluviali e lacustri a villaggi, accampamenti e città (con tutto il corteo contenutistico del West: saloon in cui mangiare, bere un goccio al bancone, pernottare o farsi un bagno di lusso, negozi di armi dove rimpinguare il proprio arsenale, farmacie, negozi di alimentari e abbigliamento, fotografi, stalle e chi più ne ha più ne metta!). Anche il sonoro è qualcosa di incredibile. Vi suggerisco di giocare il titolo con cuffie dotate di virtual dolby surround perché vi sentirete davvero all’interno del West. Vi dico solo che durante le sparatorie riuscirete anche a capire da che parte è stato esploso un colpo nemico! Niente da ridire sulla colonna sonora anche se avevo trovato molto più evocativa quella di Red Dead Redemption ad opera di Woody Jackson. Purtroppo il vinile del secondo episodio (in uscita a settembre ‘19) è andato in sold out immediatamente dopo l’apertura della prevendita mentre quello del primo episodio è reperibile online dai 500€ in su, peccato... Vi assicuro che l’immersività è tale che sentirete l’odore del fango, non scherzo! 

In ultima istanza vi vorrei suggerire di scaricare l’App “Red Dead Redemption 2” che ho trovato molto utile soprattutto quando devi muoverti a cavallo (cioè sempre...) in quanto mostra in diretta i tuoi spostamenti sulla mappa o per tenere il conteggio delle attività svolte che sono praticamente infinite. Credo di avere spolpato il gioco a sufficienza ma vi assicuro che il platino è un’impresa titanica per cui ho desistito. Tenete presente che in circa 100 ore di gioco in cui ho completato tutte le 107 (!) missioni della storia principale oltre a innumerevoli missioni secondarie (non ricordo inoltre quanto tempo ho trascorso a zonzo per l’immenso mondo di gioco magari accampandomi con tenda e cavallo o riposando in qualche locanda prima di riprendere il viaggio o quanto tempo ho passato per andare a caccia di animali di tutti i generi e di quelli “leggendari”) ho ottenuto solo il 48% dei trofei, giusto per farvi capire quale sia la difficoltà per ottenere il massimo trofeo in questo gioco (trofeo “leggenda del West”, 0.1% degli utenti, stessa percentuale di Gran Turismo, platinato dal mitico Roberto Gandini!).

In conclusione: qui siamo ben oltre il semplice “gioco” ma abbiamo a che fare con un’esperienza videoludica che per caratteristiche artistiche non ha precedenti e che si pone come nuovo punto di riferimento per gli open world. Personalmente non riesco a trovare difetti a questo prodotto. Forse lo deve evitare solo chi è “allergico al Far West” (un po’ come io sono allergico alle “americanate” in stile GTA - giusto per citare la blasonata serie videoludica dello stesso produttore che ha raccolto voti magnificenti ovunque ma alla quale io non darei più di 7...) o chi ha troppo poco tempo da dedicare a questo fantastico passatempo digitale.

Voto 10
Il nostromo